Superare la balbuzie significa anche liberarsi delle maschere che crea. Chiara Comastri, ideatrice del metodo Psicodizione, ci racconta come superarla per vivere la vita che si desidera davvero.
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“Vorrei un cono con crema e… cioccolato“. E magari lo volevi crema e stracciatella, ma cavolo, quella parola proprio non voleva uscire! Ti ci riconosci? 🙂
È il blocco della balbuzie, quell’inceppo nel linguaggio che ti impedisce di comunicare esattamente quello che vuoi, ma, andando più a fondo, di essere esattamente chi senti di essere.
Vissuta come un disturbo relazionale, è nella maggior parte dei casi un disturbo del neurosviluppo senza cause esterne. Può esserci una base genetica, ma la balbuzie si manifesta se su quella predisposizione agiscono uno o più fattori ambientali, linguistici e psico emotivi.
Ne ho parlato in una lunga chiacchierata con la dottoressa Chiara Comastri, psicologa ed ex balbuziente che ha elaborato il metodo Psicodizione, un corso per riappropriarsi della tecnica corretta del parlato e fare i conti con i limiti, le ansie e le maschere che la balbuzie crea nei piccoli come nei grandi.

Possiamo dire che Psicodizione nasce con l’obiettivo di liberare la persona, oltre al mero linguaggio?
Assolutamente sì, perché la balbuzie spesso crea delle maschere che inizi a metterti addosso: la maschera di quello che si comporta da timido, per esempio. Dopo rischi di identificarti con quella maschera e comportarti davvero da timido, perché ti salva la vita in situazioni relazionali e sociali.
Oppure può svilupparsi in un’aggressività che non hai; dico sempre che ho iniziato a saper discutere e litigare dai vent’anni in poi: prima o ingoiavo il rospo e piangevo, oppure urlavo in modo aggressivo perché per riuscire ad argomentare in maniera coerente e logica sapevo già che mi sarei inceppata.
Quali sono le difficoltà e i contesti più critici per un balbuziente?
Approfitto di questa chiacchierata per continuare a sfatare un mito: la maggior parte delle persone pensa che il contesto più stressante per un balbuziente sia l’interrogazione, un esame, un colloquio di lavoro, una prestazione sociale dove c’è qualcuno che ti deve valutare. Questo è per molti, ma non per tutti.
Ci sono persone, e non sono rare, che manifestano maggiormente la loro balbuzie in situazioni di totale tranquillità, cioè quando l’ansia è molto bassa ed è come se non sentissero necessario e vitale quel senso di autocontrollo che devono mantenere all’esterno, e che rispetto alla fluidità, in qualche caso, migliora la prestazione.
Il vostro metodo come lavora su queste peculiarità?
Se sul linguaggio lavoriamo in gruppo, andando a ridare le basi della corretta comunicazione – lavorare in gruppo è un velocizzatore -, ci sono tantissime attività totalmente individualizzate, dove ogni persona viene guidata e seguita da un coach formato per lavorare su di lei.
Ci tariamo sui suoi obiettivi e sulle risorse che ha a disposizione.
Quali sono i percorsi che propone Psicodizione?
Psicodizione si struttura su un corso intensivo di una settimana, con ore dedicate al remise en forme del proprio linguaggio e ore dedicate all’esposizione all’ansia, perché le persone che partecipano hanno la necessità – e per me è una priorità – di avere strumenti e risposte nella loro quotidianità in tempi brevi.
Quindi, gli ultimi quattro giorni di corso le mettiamo di fronte al parlare in pubblico e alle telefonate, le portiamo nella loro città a chiedere informazioni a estranei: devono avere subito questo tipo di cambiamento, sentire che la comunicazione dipende finalmente da loro.
Il percorso prosegue con circa due mesi di affiancamento individuale con un coach, che aiuta la singola persona a portare nella vita quotidiana i risultati avuti nella settimana di corso.
Poi c’è un’organizzazione di after care nel post corso, dedicata all’allenamento costante, ai gruppi di lavoro in presenza e al confronto con altri corsisti attraverso un calendario nazionale.
Chi ha frequentato il corso, ha anche la possibilità di poterlo rifrequentare gratuitamente ogni volta che vuole. Questo scambio che si crea rafforza tutti, sia i nuovi sia i veterani.
Com’è percepita la persona balbuziente? Ci sono pregiudizi legati a questo disturbo, come per esempio l’essere timidi o introversi?
Ci sono persone che hanno la maschera ‘timidezza’ e persone che hanno mantenuto l’essere totalmente spavaldi, quindi questo è un pregiudizio che possiamo smantellare.
Molto spesso può essere che la persona balbuziente porti questo pezzo di sé, e la cosa peggiore è che inizia ad alterare la propria personalità a vantaggio del sopravvivere al meglio che può e nascondere la propria balbuzie agli occhi dell’interlocutore.
Tantissime persone portano la balbuzie fino all’età adulta e ci riportano la difficoltà che hanno nel non sentirsi pienamente soddisfatte perché non sono spontanee, perché ormai si sono costruite una maschera in certi luoghi e in certi contesti che è difficile da abbattere, e quindi non osano uscire fuori da quello che gli altri si aspettano che debbano essere.
La comunicazione è sempre uno scambio. Quando mostro in video ai corsisti come loro comunicano da balbuzienti, tolgo l’audio per porre l’attenzione sul non verbale; questo perché se una persona comunica in gruppo sentendosene parte ma sembrando timida, introversa, insicura, porterà l’interlocutore a relazionarsi con lei “camminando sulle uova”. Sarà difficile instaurare una relazione piena.
Gli interlocutori più stretti con i quali entri in contatto, come vivono la condizione del balbuziente a loro caro?
La famiglia più stretta soffre molto perché conosce la vera personalità della persona cara che balbetta – che magari è molto più esplosiva e colorata, e sarebbe molto più audace – e vede che nella socialità si ritira, oppure scende a compromessi con la balbuzie: dal gusto del gelato che ti viene meglio detto ma che non ti piace, alla scelta di proporti o meno a una grande azienda.
Notiamo che dobbiamo formare le persone della cerchia di influenza, perché a volte, messe di fronte alla balbuzie, non hanno una capacità di confronto adeguata: si imbarazzano, stanno male, mostrano espressioni di tensione oppure di eccessivo incoraggiamento; non riescono, cioè, a essere a proprio agio con chi balbetta, ascoltandolo come se fosse fluido.
Se non hanno la tranquillità di guardare all’essenza di quella comunicazione, il figlio, il fratello o il fidanzato si sentiranno osservati e giudicati anche se gli interlocutori non vorrebbero.
Il primo livello è quindi creare una comodità di fronte al blocco; poi abbiamo bisogno che loro stessi imparino la parte metodologica, in modo che sappiano come muoversi.
Quali sono, quindi, i comportamenti e le frasi da evitare quando si comunica con un balbuziente?
Frasi come “stai calmo”, “nessuna fretta”, “ripeti più lentamente”, “prendi un bel respiro e poi parla di nuovo”. Perché? Perché dobbiamo capire che la persona con balbuzie, in quel momento, sta già facendo del suo meglio, ha già trovato la sua funzione: alterata, disfluente, fastidiosa, preoccupante, ma nella sua mente ha già sperimentato due, cinque, tante vie di fuga diverse che non hanno funzionato, e quello è il meglio che sta ottenendo.
Una frase che spesso noi operatori diamo come consiglio, invece, a famiglie e insegnanti è: “Fate finta di niente quando il bimbo balbetta”. La trovo aberrante e crea dei danni incredibili. Se il bimbo piange quando ha il blocco, si ammutolisce, si arrabbia, vuol dire che sta cercando aiuto; in quel momento devo accogliere quel modo di comunicare, spiegargli e tranquillizzarlo. Diversamente, può sentirsi incompreso o in un livello di realtà distante rispetto a quello delle figure di riferimento.
Fare finta di niente inoltre porta i genitori a non sapere come muoversi pur volendo aiutare il figlio.
Capisco l’operatore un po’ inesperto, ma bisogna contestualizzare: se questa frase si traduce in: “Guardate e ascoltate vostro figlio esattamente come se stesse parlando in maniera fluida”, allora è sana.
Palesare la propria difficoltà di linguaggio può alleggerire lo stress della performance comunicativa?
Ti potrei dire di sì; ci sono persone che con l’autoironia – finta, a mio avviso – o con il comunicare “scusate, balbetto un po’ quando sono emozionato” vanno avanti nella performance, ma il problema è che, dentro di sé, sanno che quel pensiero che volevano esprimere in quell’esatto momento era chiarissimo nella loro mente. Sentono comunque la frustrazione di non avere espresso loro stesse per come si sentono.
Ci sono delle tecniche basate sul rassegnarsi alla balbuzie, sull’accettazione – perché è l’altro che si deve adattare a te. Questo è vero per moltissimi disturbi e patologie; penso a Bebe Vio: in quel caso è ovvio che devi accettare quello che sei e fare del tuo meglio con quello che hai. La balbuzie non è la stessa cosa, perché Bebe Vio si vede e si percepisce senza un braccio e senza una gamba, e all’esterno accade lo stesso: c’è una congruenza di identità. In chi balbetta, questo non c’è: la persona sa di avere un’identità molto diversa da quella che viene fuori, raffazzonata e di bassa qualità mentre parla.
Quindi, il nostro punto di vista in Psicodizione non è “abbassa il livello di stress”, ma: riusciamo a portare il tuo livello di espressione identitaria a quello che tu sai di essere davvero?

Risalire alla causa della balbuzie è sempre possibile? E ha senso farlo ai fini della risoluzione del disturbo?
La maggior parte di noi inizia a balbettare senza una causa, mentre la balbuzie “psicogena”, scatenata da un momento traumatico, è quella più frequente nell’immaginario collettivo, ma in realtà è rara. La balbuzie neurogena, collegata a malattie neurodegenerative, è ancora più rara.
In Psicodizione non andiamo a cercare la cause, perché a nostro avviso, anche risolte quelle, la persona ha comunque un certo numero di anni di balbuzie alle spalle che hanno creato un’abitudine e una gestione dell’ansia ormai automatizzata.
Quindi noi lavoriamo sull’oggi, portandoti verso il futuro.
Riscontri il desiderio, da parte dei genitori per esempio, di voler conoscere le cause?
Sì. Quando vengono da noi pensano soprattutto che sia successo qualcosa a scuola, e gli insegnanti, all’opposto, pensano che sia successo qualcosa a casa; c’è sempre l’attitudine a trovare una causa psicologica.
C’è una definizione che aveva dato un papà: “Nella nostra famiglia del Mulino Bianco, a un certo punto Lorenzo ha iniziato a balbettare ed è esplosa una bomba atomica”. Inconsapevolmente viene da incolpare la madre o il padre, e succedono cose che non devono succedere, perché al bimbo passa il messaggio di una tensione della quale pensa di essere l’origine.
La balbuzie può scomparire del tutto?
Preferisco usare il termine ‘superare’ piuttosto che ‘scomparire’, perché ‘scomparire’ presuppone il non avere più un blocco in vita tua, e siamo in pochi a non averne da anni.
La maggior parte di coloro che hanno partecipato a Psicodizione può sentire un blocco ogni tanto, ma applicando la metodologia corretta non scende a compromessi, non si fa influenzare nelle scelte: sono persone che si sono riprese totalmente in mano la loro vita.
Quali sono gli obiettivi ricorrenti di chi si rivolge a Psicodizione?
Negli adulti, farsi valere sul lavoro, mentre nei ragazzi gli esami universitari.
Per coloro che entrano nel mondo del lavoro, il colloquio e il poter accedere a una professionalità che li rispecchi.
Per quanto riguarda i bimbi, spesso sono i genitori a prendere in mano questa spinta al cambiamento, ma è poi bello vedere il bambino che dopo qualche giorno si accorge del miglioramento e allora inizia a verbalizzare ciò che con gli amici non stava funzionando.
Coloro che vanno alle medie e alle superiori puntano sulla scuola, gli amici e lo sport.
Qual è la percentuale di efficacia del metodo e in quali condizioni può “fallire”?
Durante la settimana di corso abbiamo il 100% di risoluzione. Quello che fa la differenza è ciò che succede nelle settimane e nei mesi successivi.
Ci sono persone che non hanno la persistenza all’allenamento o l’atteggiamento di riprovare dopo un fallimento.
Anche arrivare ad alti livelli di libertà, serenità e sollievo, può abbassare talmente tanto lo stress che purtroppo, per qualcuno, diventa un barcamenarsi per spingere solo in caso di necessità.
Tutti però sentono di aver ottenuto un cambiamento a livello di autostima e libertà.
Sono l’esercizio e l’impegno quotidiano a mantenere il risultato?
Sì, ma anche come crei un cambiamento nell’atteggiamento; ci sono persone che, pur allenandosi meno, hanno imparato a gestire la frustrazione dell’errore, e persone che invece si allenano per ore e sono bravissime di fronte a uno schermo, ma non escono di casa a chiedere un caffè.
La cosa importante per noi è che tu sappia che devi creare un cambiamento allenandoti sia nella tecnica sia nell’atteggiamento, con esperimenti emotivi dove ti devi buttare e puoi rischiare il blocco avendo delle reti di salvataggio.
Il metodo Psicodizione ha vissuto, o sta vivendo, un’evoluzione nel tempo?
È cambiato tantissimo da quando ho iniziato nel 2004, perché allora non avevo sviluppato neanche su di me gli elementi della corretta comunicazione; avevo quasi paura di toccare le consonanti, mentre oggi credo che devi poter creare ogni suono nel momento in cui decidi di volerlo produrre, e non devi averne paura.
Adesso lavoriamo molto di più anche sull’impatto comunicativo, sulla sensazione di presenza che puoi dare con il corpo e con lo sguardo: è una diversa tridimensionalità di te che entri nella realtà comunicativa degli altri.
Inoltre da qualche anno c’è un lavoro più minuzioso con i coach che seguono i corsisti in individuale nel dopo corso.
Un messaggio che vuoi lasciare a chi vive con disagio o sofferenza questa condizione.
Abbi il coraggio di fare il primo passo verso la tua libertà, perché te lo meriti.
Riprendere il cento per cento di quello che sei e dei tuoi colori vale sempre la pena e si può fare: la comunicazione ha un valore troppo grande per lasciarla sotto a una coperta.
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